Rivista Persona

Riflessioni sulla poesia

di Giuseppe Limone

… può scoprirsi che non è vero che la poesia sia idrofoba al pensiero. Dentro la poesia abita sempre un’idea, che si è fatta emozione, dando spazio – attraverso il linguaggio – a un’emozione intelligente. In questa prospettiva, si presenta certamente forzata la posizione di Platone contro i poeti. La polemica condotta da Platone contro i poeti, infatti, è legata all’idea che la poesia, in quanto copia della copia, è mera immaginazione priva di logos. Ciò non è vero, soprattutto quando si incontra la grande poesia. E, d’altra parte, anche quella di Platone è grande poesia.

La poesia è la più povera e la più ricca delle arti. Essa non è la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Non ha pennelli, né scalpelli, né strumenti musicali, né colonnati, né orchestre, né sale. Non vanta promotori di visite a monumenti, né organizzatori di mostre, né sponsor di sfilate d’onore. Non è finanziata da committenti, né è destinata a visitatori. È fatta di sole parole, quelle della vita quotidiana: friabili, deperibili, usurate. Proprio per questo, non è solo l’arte più povera, ma la più difficile. Non può essere acquistata o venduta. Può viaggiare su strisce di carte vaganti. Non ha prezzo e non ha mercato. Nessuna forma originale ne può riservare a privilegiati un qualsiasi valore venale. Eppure, la poesia contiene tutto ciò che sembra non poter contenere, e altro ancora. È la lanterna magica più avveniristica e la borsa di Mary Poppins più antica. Apre ai viali dell’immaginazione, alle musiche impercettibili e interiori, alle architetture dei pensieri, ai vertici degli universi, ai brividi inarrivabili delle profondità. La poesia, mentre si esprime con le parole di tutti i giorni, è immagini, idee, ritmi, pensieri, danze di righe, pause, spazi bianchi, musicalità. Crea mondi immateriali in poche righe. Scava nelle parole per farne emergere nuovi significati innocenti. Occorre, però, uno speciale udito per discendere alla scala dell’auscultazione. La poesia ha bisogno di silenzio e di attesa. Di un raccoglimento che precede e di una risonanza che segue. È pane degli angeli, che non si compra al mercato.

La poesia è povera e ricca, ma nel senso che è la sua povertà a essere ricca e la sua ricchezza a essere povertà. La sua povertà irradia tutta la sua ricchezza e la sua ricchezza è tutta asciugata nella sua povertà. Una poesia non vive solo di immagini e musiche. Nel suo corpo linguistico si è fatta largo un’idea originale, che ha bisogno di farsi storia interiore. La poesia è l’intero della vita che si fa emozione e l’emozione che condensa nel suo linguaggio quell’intero.

In questo senso, è fallace la contrapposizione rituale – troppo rituale – tra filosofia e poesia. Se è vero, infatti, che la filosofia è intelligenza vivente, e quindi mai del tutto separabile dal mondo dell’emozione, la poesia è emozione intelligente, che si è fatta linguaggio, trovando in esso il sonar specifico per arrivare alle altrui emozioni intelligenti.

È possibile vedere il rapporto tra filosofia e poesia anche in altra luce. Sia la poesia che la filosofia appaiono come un mosaico di parole, che può essere guardato secondo due coppie di criteri strutturali. Veniamo alla prima coppia. Questo mosaico, da un lato, apre lo spazio a un mondo di idee, di emozioni e di esperienze prima del loro stesso costituirsi; dall’altro lato, indica idee, emozioni e cose come già costituite. In questo senso, questo mosaico di parole è caratterizzato da uno spazio inventivo e da uno spazio indicativo. Nel primo spazio, le parole tendono a fare largo a ciò che ancora non c’è; nel secondo spazio, tendono a indicare ciò che è già costituito. Passando alla seconda coppia di criteri strutturali, può osservarsi che questo mosaico di parole, da un lato, contiene elementi determinati a cui fa riferimento e, dall’altro lato, evoca – in associazioni libere – idee, emozioni ed esperienze senza circoscrivibili confini. In questo senso, le parole vivono in uno spazio determinativo e in uno spazio evocativo. In base alla prima coppia di criteri strutturali, quell’insieme di parole fa emergere qualcosa che prima non c’era e/o indica qualcosa che già c’è; in base alla seconda coppia, quell’insieme di parole determina qualcosa di definito e/o evoca qualcosa che non può essere preventivamente circoscritto. La poesia tende a far emergere più che a indicare e tende a evocare più che a determinare, mentre la filosofia sembra fare l’inverso. Ma si tratta di prevalenze che non costituiscono esclusioni, perché anche la poesia indica e determina, così come anche la filosofia fa emergere ed evoca. Poesia e filosofia, perciò, attingono in modo diverso a tutte le fonti dell’interiorità e al loro plurale modo di farsi linguaggio.

Non è un caso che la grande poesia – e la grande poesia antica – vivano, nel proprio nucleo più segreto, un rapporto con un pensiero. La poesia di Leopardi, di Foscolo, di Manzoni, di Goethe, di Shakespeare, di Donne, di Dante, di Lucrezio, di Pindaro, di Parmenide, di Esiodo, di Omero è pregna di pensiero.

Sia la filosofia che la poesia si danno nella forma del linguaggio. Anche se diverso ne appare il ruolo. Nella filosofia il linguaggio mira, al suo limite, a essere vetro trasparente che trasmette il logos, il pensiero; nella poesia il linguaggio mira, al suo limite, a essere massa linguistica che fa risuonare un’emozione.

Né il linguaggio per la filosofia, né il linguaggio per la poesia riescono ad essere soltanto ciò che intenderebbero essere. Il logos della filosofia, facendosi linguaggio, non può mai ricondursi a un puro logos trasferito in trasparenza: l’ermeneutica ne è testimonianza. E, d’altra parte, l’emozione della poesia, facendosi linguaggio, non può mai ricondursi a pura emozione risonante: ne è ancora una volta testimonianza l’ermeneutica.

Ciò, in altri termini, significa che nel linguaggio del logos vibra qualcosa che non è puro logos, così come nel linguaggio della poesia vibra qualcosa che non è solo emozione. Nel logos della filosofia vivono un’emozione e una relazione; nell’emozione della poesia vivono una risonanza e un’idea. Il linguaggio è il corpo fono-visivo in cui, nel primo e nel secondo caso, questa doppia cittadinanza si consuma.

Non va trascurato che nel linguaggio della poesia, insieme con la semantica delle parole, operano altri strumenti per esprimere l’evocazione e l’emozione: le immagini, i contrasti sonori, il ritmo, i voli arditi della fantasia, lo spaesamento dei contesti linguistici per ringiovanire le parole, e così via. E, d’altra parte, nel linguaggio della filosofia, oltre alla semantica delle parole, altri strumenti tendono a raffinare il discorso del logos, come ad esempio il ricorso al giacimento di un lessico, tecnicamente perfezionato, a cui è approdato il lavoro di una storia e di una comunità di studiosi. Uno stesso testo può avere, talvolta, risonanze poetiche e filosofiche, pur se attraverso percorsi diversificati. Si pensi a Dante che scrive: «la bocca sollevò dal fiero pasto / quel peccator forbendola a’ capelli / del capo ch’elli avea di retro guasto. / Poi cominciò: “Tu vuo’ ch’io rinovelli / disperato dolor che ‘l cor mi prem / già pur pensando, pria ch’io ne favelli. / Ma se le mie parole esser dien seme / che frutti infamia al traditor ch’i rodo, / parlar e lagrimar vedrai insieme. /…» (Inferno, canto XXXIII, vss 1-9). Qui il ritmo serrato e le straordinarie allitterazioni dei suoni (si vedano, solo per un esempio, le esplosioni delle labiali in «la bocca sollevò dal fiero pasto / quel peccator forbendola a’ capelli» e l’arrotarsi delle liquide e delle dentali in «che frutti infamia al traditor ch’i rodo») esprimono la forza contratta delle emozioni, ma ciò non impedisce al mosaico di quei suoni di farsi portatore di un logos, anche molto profondo e accidentato. E quando lo stesso Dante, nell’ultimo canto del Paradiso, presenta la preghiera di san Bernardo alla Vergine (Paradiso, XXXIII, vss. 1-6), la cadenza solenne dei versi e la forza degli ossimori sono capaci di mantenere, al tempo stesso, un alto tasso di emozione evocativa e un alto livello di filosofia e di teologia.

Certo, in linea generale, lo stile filosofico e lo stile poetico sono cose ben diverse. La filosofia è, nella forma del linguaggio, un pensare, mentre la poesia è, nella forma del linguaggio, un fare (un fare produttivo): un fare produttivo concentrato in un dire performativo. Si intende qui dire che in quel pensare si trasmette un logos e in quel fare un’emozione. Ciò comporta movimenti linguistici diversi. Dove la poesia, per evocare, confonde, la filosofia, per determinare, distingue. Dove la poesia dice attraverso quell’attrarre che si apre nel mancare, la filosofia dice attraverso quel catturare che si compie nel nominare. La poesia dice soprattutto attraverso i vuoti con cui aspira, la filosofia soprattutto attraverso i pieni a cui apre. Anche qui, si tratta di prevalenze e non di connotati esclusivi. Ciò, pertanto, non toglie che un testo poetico possa avere un suo tasso di filosoficità e un testo filosofico un suo tasso di poeticità. In questo caso, il pensare filosofico trasmette, anche a sua insaputa, una vibrazione emozionale, mentre il fare poetico trasmette, ancora a sua insaputa, la filigrana di una visione del mondo e un’idea. Ne sono straordinari esempi anche alcune prose poetiche, ad alto tasso filosofico. In questi casi speciali accade un miracolo stilistico che può dare a pensare: nel testo filosofico si esprime un paradigma noetico che va oltre i suoi limiti, praticando e trasmettendo emozione, mentre nel testo poetico si dà una tessitura emozionale che va, anch’essa, oltre i suoi limiti, praticando e trasmettendo pensiero. In questa prospettiva, la filosofia si rivela la più poetica fra le scienze e la poesia la più filosofica fra le arti. Nei casi speciali sopra individuati, perciò, possono scoprirsi i caratteri di un più complesso modo di porsi nei confronti del reale, al cui interno forse è riconoscibile l’embrione di un nuovo paradigma, in cui si incrociano, da un lato, un pensare e un fare e, dall’altro lato, un insieme di idee e un’emozione. Si tratta di un paradigma che noi chiameremmo, in modo abbreviato, empatico.

Estratto da Giuseppe Limone, Filosofia e poesia come passioni dell’anima civile, in “Persona. Periodico internazionale di studi e dibattito”, 1(2015), ISSN 2239 – 6667

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